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Partiamo dalle domande.
Uno dei quesiti che mi capita spesso di vedere manifestato è il seguente: “ricevo regolarmente la cedola, ma il prezzo va costantemente giù, non è che essa mi viene fornita prendendola dal mio capitale investito?”. La risposta è assolutamente no, anche se esistono fondi che includono una formula simile in determinate circostanze, il Pimco in questione non è tra quelli, di conseguenza distribuisce solo quanto effettivamente riesce ad ottenere come flusso cedolare dal possesso dei bond interni ad esso.
Secondo quesito: “ho in portafoglio questo Etf, che però continua regolarmente a deprezzarsi nel tempo, lo tengo o lo vendo?”. Come è immaginabile, dare una risposta su due piedi ad una domanda del genere non è così facile: questo Etf si compra per la distribuzione cedolare frequente, se il capitale lo giustifica, ossia se da esso si riesce ad ottenere un introito mensile utile a vivere meglio e/o a coprire determinate spese; al limite si può entrare con capitali esigui nell’ottica della costruzione di un piano d’accumulo, con l’idea di aumentare l’esposizione, in modo da mettere a reddito una cifra via via più importante nel tempo.
Ovviamente si può essere sia nella prima che nella seconda situazione contemporaneamente. Nel 1° caso non ha tanto senso vendere, a meno di trovare qualche altro investimento sostitutivo con un profilo di rendimento/rischio migliore a lungo termine, conviene mantenere in portafoglio, incassare la rendita e guardare la quotazione il meno possibile. Nel caso di un pac, la debolezza è un’occasione per entrare a condizioni migliori (prezzi più bassi, rendimenti a scadenza e flussi cedolari più elevati); per cui se c’è l’obiettivo di mettere da subito denaro a lavoro per sviluppare una rendita sempre più sostanziosa, è opportuno continuare il pac; al limite si può ragionare sulla convenienza a preferire un pac di tipo value averaging o dollar cost averaging, ma in ogni caso questa metodologia aiuta a tenere sotto controllo il rischio proprio perché si acquista in diverse condizioni di mercato.
Diversamente, nei casi in cui: a) non serve una rendita, b) non serve ottenerla frequentemente, c) non c’è un capitale sufficiente a generare un’entrata soddisfacente, è possibile valutare una strategia di uscita dallo strumento in questione, nel 1° e nel 3° caso magari investendo le proprie risorse in modo più coerente con le proprie esigenze, nel 2° al limite valutando uno switch su un prodotto simile ma con pagamenti cedolari meno frequenti.
Terzo quesito: “l’ Etf in questione è correlato con il mercato azionario?”. La risposta è sì; anche se le correlazioni non sono un’entità fissa bensì qualcosa di dinamico, il grafico sottostante mostra come nel tempo tende ad esserci un elevato grado di correlazione positiva tra il Pimco e mercati come l’ S&P 500 (in blu) e l’ MSCI World (in turchese).
Quarto quesito: “un rialzo dei tassi inciderebbe negativamente su questo strumento?”. Dal momento che l’ Etf in questione investe su bond a breve scadenza e ha pertanto una duration ridotta (pari a 1,70), un rialzo dei tassi d’interesse non causerebbe ricadute troppo negative sul prezzo dei bond interni (e quindi del fondo). Da un altro punto di vista tassi più elevati darebbero la possibilità a chi è alla finestra (o entra gradualmente tramite pac) di acquistare a condizioni migliori (cedole più ricche).
Tuttavia nel considerare la dinamica dei tassi, non bisogna solo guardare a quelli Usa, ma anche a quelli europei, ricordiamo infatti che sull’andamento del prodotto in questione impattano diverse variabili, una di queste è il costo di hedging (per la copertura valutaria), il quale è legato al differenziale tra il tasso di riferimento Usa e quello europeo. Un allargamento di questo differenziale comporterebbe maggiori costi di struttura, appesantendo ancora di più il prodotto.
Occorre infatti tener conto che l’andamento non brillante di Pimco nei confronti ad esempio del prodotto gemello senza hedging valutario in questi anni è stato alimentato da fattori quali un Ter lievemente superiore, costi legati all’ hedging e dal rafforzamento del Dollaro nei confronti dell’ Euro. Per rendersi conto di ciò ecco un grafico di confronto tra i 2 strumenti.
Analizzati diversi aspetti, arriviamo ora al dunque: quali sono le prospettive di tale prodotto? Conviene entrare ora o rimandare? Meglio un pic o pac?
Come è possibile vedere dal grafico sottostante, sicuramente questo non è il momento migliore per entrare se si cerca un’ottimizzazione del rapporto rendimento-rischio, dal momento che i rendimenti dei junk bond sono in picchiata, ai minimi storici, e sono stati superati anche dall’ inflazione Usa, per cui abbiamo paradossalmente rendimenti reali negativi persino sui titoli spazzatura.
Se si vuole invece fare un po’ di market timing su un prodotto del genere, si deve aspettare un contesto di impennata sui rendimenti dello stesso, che generalmente si manifesta in momenti di particolare instabilità economica, con aumento dei fallimento dei titoli high yield, in tali casi i prezzi scendono e va alle stelle il rapporto dividend yield. Si tratta di situazioni di eccesso che sono state sempre riassorbite (qua la diversificazione aiuta).
Allo stesso tempo, le situazioni di calma sui mercati e di rendimenti compressi sono le più idonee per vendere il prodotto.
In condizioni estreme come la recente crisi Covid l’Etf ha avuto un drawdown del 23,5% circa in 3 settimane, mentre tra massimi e minimi l’escursione più ampia è stata del -34,5% (in tutti e 2 i casi non conteggiando le cedole incassate).
E’ uno strumento che può essere valutato in sostituzione dell’acquisto di un immobile da mettere a reddito, con orizzonte temporale molto lungo, cercando di ripagarselo a furia di incassare cedole, avendo così un introito mensile sicuro e potendolo rivendere con un click quando ritenuto opportuno.
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