Obbligazioni indicizzate all’ inflazione: scopriamo come funzionano (seconda parte)

Gen 10, 2022 | Educational e approfondimenti vari

Questo approfondimento costituisce la continuazione del precedente, che aveva introdotto le obbligazioni indicizzate all’inflazione e che puoi consultare a questo link.

Avevamo visto in precedenza cos’è un bond inflation linked, come si differenzia dal classico titolo a tasso fisso, il confronto tra i 2 titoli nei vari scenari di mercato ed il concetto di inflazione breakeven.

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Una volta chiaro cosa succede al bond indicizzato dalla sottoscrizione fino alla scadenza, vediamo cosa succede se voglio vendere nel mentre.

I prezzi del titolo saranno soggetti ad oscillazioni, che dipenderanno da tante variabili, una su tutte è l’ andamento dei tassi d’ interesse (come per i classici titoli a reddito fisso). Dunque anche in questi titoli ha importanza il concetto di duration, tuttavia c’è da capire un passaggio importante, ossia che mentre nei bond a tasso fisso la duration esprime la variazione dei prezzi al variare dei rendimenti nominali, nei bond inflation linked essa misura sempre la variazione dei prezzi, ma al variare dei rendimenti reali.

Da qui si evince che i bond inflation linked sono correlati negativamente con i rendimenti reali, dunque tendono a scendere quando questi ultimi salgono e viceversa (a parità di ogni altro aspetto). A tal riguardo occorre sottolineare che i tassi reali possono salire anche con un’inflazione al rialzo, se ad esempio i tassi nominali salgono più velocemente di quest’ ultima.

Occorre poi chiarire un altro aspetto, molti infatti hanno notato che i bond indicizzati all’inflazione hanno duration tendenzialmente elevate, questo è dato dalla struttura del titolo, che si caratterizza per avere pagamenti cedolari meno generosi e capitale di rimborso finale più cospicuo, per cui di fatto è necessario più tempo per rientrare nell’investimento iniziale.

Va detto però che se da un lato una maggiore duration può indicare maggiori oscillazioni di prezzo, dall’ altro lato a ridimensionare ciò c’è il fatto che i rendimenti reali sono tendenzialmente meno volatili di quelli nominali.

Chiarita la natura più tecnica di questi titoli, passiamo a qualche altra considerazione, legata agli aspetti critici, a come è possibile esporsi a tali bond e alla loro situazione attuale.

Un aspetto critico

Una criticità dei titoli indicizzati di cui parlano pochi è data dal fatto che i vari parametri di riferimento usati per l’indicizzazione di questi bond (quali il FOI e altri ancora), che ricordiamo sono dati medi, possono in alcuni casi sottostimare l’inflazione effettiva, soprattutto quella delle persone più in avanti con l’età, che sono tra i maggiori sottoscrittori di tali titoli.

Ciò è spiegabile con il fatto che il paniere di beni e servizi su cui viene di volta in volta calcolata l’inflazione tende a variare nel tempo, per riflettere i cambiamenti nella società e nelle abitudini di consumo; conseguentemente sono via via entrati in tale paniere beni e servizi più “deflattivi”, in quanto ascrivibili in larga parte a soluzioni innovative e tecnologiche che hanno permesso l’abbattimento dei costi in varie aree di spesa.

C’è da considerare però che le persone più in avanti con l’età sono quelle più restie a cambiare le loro abitudini d’ acquisto, continuando generalmente a fruire degli stessi beni e servizi, anche se più costosi. Proprio per tale motivo questi soggetti potrebbero subire un’inflazione più elevata rispetto a quella di un giovane più smart, e soprattutto rispetto a quanto coperto dal titolo indicizzato.

Come esporsi a tali titoli

E’ possibile esporsi a tali titoli sia mediante singole obbligazioni o tramite fondi/Etf esposti su di essi. Attraverso le singole obbligazioni si potrebbe pianificare di acquistare tali titoli e mantenerli sino a scadenza, fregandosene delle oscillazioni di prezzo che caratterizzano essi nel breve termine. Tale soluzione è quella che permette senza dubbio una pianificazione finanziaria più precisa; viceversa attraverso i fondi si ha una maggiore diversificazione e si ha una gestione professionale che se fa il proprio lavoro a dovere potrebbe permettere di spuntare prezzi migliori sui bond sottostanti, ma occorre anche pagare un costo annuo di gestione; bisogna inoltre osservare come i fondi non abbiano generalmente una data di scadenza, dunque si possono fare meno calcoli in merito al valore finale del proprio investimento.

La situazione attuale degli inflation linked bond

Bisogna tenere conto del fatto che i tassi breakeven sono già molto cresciuti di recente, ciò si traduce nel fatto che il costo da pagare per proteggersi dall’inflazione è decisamente più elevato; l’ideale sarebbe in assoluto acquistare bond inflation linked quando l’inflazione attesa è bassa, ossia quando la protezione costa poco, o per dirla in altri termini, quando gli inflation linked non li nomina nessuno, in quanto a quel punto occorrerà meno inflazione negli anni a venire affinché tali titoli risultino premianti rispetto ai corrispettivi a tasso fisso, viceversa, più sono alti i tassi breakeven, più c’è da stare attenti, in quanto occorrerà più inflazione nel corso della vita del titolo affinché questo vinca la sfida con il tasso fisso.

In conclusione, i bond indicizzati all’inflazione rappresentano uno strumento di diversificazione utile all’interno di un portafoglio più ampio, a patto di capirne il funzionamento e le logiche che governano i movimenti. Evidenziando storicamente bassa correlazione con le principali asset class (azioni, bond, materie prime) permettono la costruzione di un portafoglio più resiliente, in quanto decorrelato e dunque meno volatile, in modo da aggiustare in modo positivo il rapporto tra rendimento e rischio di portafoglio.

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