MSCI Emerging Markets: analisi e prospettive (parte 2)

Set 29, 2021 | Educational e approfondimenti vari

L’ articolo in questione costituisce una continuazione dell’analisi legata al mercato azionario dei paesi emergenti, iniziata con l’ approfondimento precedente, nel caso te lo fossi perso ti invito a consultarlo al seguente LINK

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Oggi vedremo di rispondere ad alcuni quesiti frequenti e a dare degli spunti operativi su tale asset class.

Partiamo dalle domande.

Uno dei quesiti che di recente mi capita spesso vedere manifestato è il seguente: ho investito nell’ MSCI Emerging Markets ma attualmente sono in perdita, cosa faccio, mantengo la posizione o vendo?

Come è immaginabile, dare una risposta su due piedi ad una domanda del genere non è così facile: i mercati emergenti si comprano per il rendimento che queste aree possono esprimere nel lungo periodo. Se tale investimento è stato pensato all’interno di un portafoglio legato ad una pianificazione finanziaria di lungo termine, non ha assolutamente senso vendere oggi per quello che è solo un “rumore di fondo di breve termine”, conviene quindi mantenere la rotta iniziale rimanendo investiti.

Se invece su questa asset class non si era entrati in unica soluzione, ma attraverso un pac, in questo caso la debolezza rappresenta un’occasione per entrare a condizioni migliori (prezzi più bassi, rendimenti futuri potenzialmente più elevati). Anche nel caso del pac quindi conviene attenersi al piano iniziale, dal momento che tale metodologia aiuta a tenere sotto controllo il rischio proprio perché si acquista in diverse condizioni di mercato.

Diversamente, nel caso in cui l’acquisto non è stato fatto in un’ottica strategica di lungo termine, ma più all’ interno di un orientamento tattico di breve, in tale caso è preferibile valutare una soluzione di uscita da tale mercato, ad esempio uno stop loss basato su livelli di prezzo, di volatilità o anche di tempo.

Secondo quesito: “l’ MSCI Emerging Markets è correlato con gli altri mercati azionari? Può fornire una decorrelazione da questi ultimi?”

La risposta è sì: anche se le correlazioni non sono un’entità fissa bensì qualcosa di dinamico, il grafico sottostante mostra come nel tempo tende ad esserci un grado di correlazione molto elevato tra i mercati azionari emergenti e altri mercati azionari come l’ MSCI World (in blu) e l’ S&P 500 (in turchese).

Ovviamente non mancano momenti in cui la correlazione vira in negativo, con i mercati emergenti che si muovono in maniera opposta ai mercati sviluppati e all’ America. Possiamo notare ad esempio che tra fine 2016 e fine 2018 c’è stata una fase in cui gli emergenti hanno offerto una buona decorrelazione nei confronti degli altri mercati principali: si tratta di frangenti più o meno prolungati in cui gli uni o gli altri “mentono”, visto che la sfasatura di correlazione tende ad avere carattere mean reverting e quindi ad essere riassorbita. Comunque l’osservazione di tale fenomeno è utile per capire che sul lungo periodo può essere proficuo avere sia emergenti che sviluppati per decorrelare il portafoglio.

Terzo quesito:”come impatta il dollaro americano sui mercati emergenti?”

Un apprezzamento del dollaro incide negativamente sugli emergenti e viceversa. Ciò è legato più che altro al fatto che i paesi emergenti sono molto indebitati in dollari americani (hard currency), per via della fragilità delle loro valute. Conseguentemente un rafforzamento del dollaro provocherebbe ad essi maggiori difficoltà nel pagare i propri debiti, dal momento che a parità di debito dovrebbero sborsare una maggiore quantità della loro valuta.
Sotto è possibile notare la correlazione inversa con il Dollar Index (in blu)e la correlazione positiva con l’ Euro/Dollaro (in turchese).

Viste le dinamiche valutarie dei paesi emergenti, anche qua possiamo concludere che può essere efficace inserire questi ultimi per diversificare un portafoglio fortemente esposto al dollaro americano.

Aldilà di ogni aspetto, l’ andamento futuro di questa asset class dipenderà dal contesto economico generale e dalle dinamiche macroeconomiche dei paesi emergenti oggetto d’ investimento, territori molto diversi fra loro a livello sociale, politico ed economico.

Analizzati diversi aspetti, arriviamo ora al dunque: quali sono le prospettive dell’ MSCI Emerging Markets? Conviene entrare ora o rimandare? Meglio un pic o un pac?

Per rispondere occorre portare alla luce alcune evidenze: innanzitutto tale asset class ha corretto dai valori massimi, quindi entrando ora si acquisterebbe più a buon mercato, con un rapporto rendimento rischio migliore. Aggiungiamo anche che in termini relativi gli emergenti sono molto a sconto, basta guardare il grafico sotto che evidenzia come il ratio tra azionario paesi emergenti e Usa sia sotto i minimi dei primi anni 2000 per rendersene conto.

Ciò potrebbe favorire (per il principio della mean reversion) un ritorno di forza sugli emergenti nei prossimi anni.

In termini relativi, anche nei confronti dell’ azionario globale dei paesi sviluppati si registra una certa sottovalutazione, per cui valgono le stesse considerazioni fatte prima.

In più l’ MSCI Emerging Markets conta al suo interno parecchi paesi i cui mercati azionari sono particolarmente legati ai titoli ciclici (alle commodities ad esempio), perciò un contesto di forza delle materie prime unito alla debolezza del dollaro (analogamente a quanto accaduto nei primi anni 2000) potrebbe premiare tale asset class.

Come allocazione strategica di lungo termine a mio avviso ci sta tutto l’ investimento nell’ azionario dei mercati emergenti; chi opta per l’ ingresso in un’ unica soluzione date le quotazioni a sconto potrebbe mettere in conto anche un orizzonte temporale di riferimento più basso del solito.

Per chi volesse fare un po’ di market timing su un mercato del genere, segnalo che c’è una stagionalità tendenzialmente favorevole, con ritorni positivi nei mesi di ottobre, novembre e soprattutto dicembre.

Ciò potrebbe essere sfruttato, abbinando la stagionalità propizia al contesto di debolezza attuale per cercare un rimbalzo dei prezzi.

Ovviamente non manca la possibilità di adottare soluzioni di tipo ibrido del tipo pic più pac, allo scopo di diminuire il rischio. In tal caso si potrebbe entrare un po’ subito e un poi’ quando si verificano tensioni sui prezzi.

Chi invece pensa per prima cosa a contenere la volatilità, potrebbe entrare su tale mercato interamente tramite la formula pac, anche se ciò sarà a mio avviso più penalizzante in termini di rendimento.

Si tratta di un asset class che in condizioni estreme (misurate attraverso l’ Etf EEM) ha avuto importanti escursioni tra massimi e minimi, come ad esempio tra fine 2007 e fine 2008, quando ha avuto un drawdown del 67% circa. Più recentemente, ha registrato una discesa del 32% circa in un mese, durante la crisi Covid. In tutti 2 i casi non conteggiando i dividendi incassati.

Sul fronte dei ritorni, evidenzio che negli ultimi 20 anni il rendimento è stato del 9,49% annuo composto.

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