iShares J.P. Morgan $ EM Bond EUR Hedged: analisi e prospettive (parte 2)

Set 4, 2021 | Educational e approfondimenti vari

L’articolo in questione costituisce una continuazione dell’analisi relativa all’ Etf iShares J.P. Morgan USD EM Bond EUR Hedged UCITS ETF (Dist) , iniziata con l’approfondimento precedente, nel caso te lo fossi perso ti invito a consultarlo al seguente LINK:
iShares J.P. Morgan $ EM Bond EUR Hedged: analisi e prospettive (parte 1)

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Oggi vedremo di rispondere ad alcuni quesiti frequenti e a dare degli spunti operativi su tale strumento.

Partiamo dalle domande.

Uno dei quesiti che mi capita spesso di vedere manifestato è il seguente: “ricevo regolarmente la cedola, ma il prezzo va costantemente giù, non è che essa mi viene fornita prendendola dal mio capitale investito?”. La risposta è assolutamente no, anche se esistono fondi che includono una formula simile in determinate circostanze, l’ Ishares in questione non è tra quelli, di conseguenza distribuisce solo quanto effettivamente riesce ad ottenere come flusso cedolare dal possesso dei bond interni ad esso.

Secondo quesito: “ho in portafoglio questo Etf, che però continua regolarmente a deprezzarsi nel tempo, lo tengo o lo vendo?”. Come è immaginabile, dare una risposta su due piedi ad una domanda del genere non è così facile: questo Etf si compra per la distribuzione cedolare frequente, se il capitale lo giustifica, ossia se da esso si riesce ad ottenere un introito mensile utile a vivere meglio e/o a coprire determinate spese; al limite si può entrare con capitali esigui nell’ottica della costruzione di un piano d’accumulo, con l’idea di aumentare l’esposizione, in modo da mettere a reddito una cifra via via più importante nel tempo.

Ovviamente si può essere sia nella prima che nella seconda situazione contemporaneamente. Nel 1° caso non ha tanto senso vendere, a meno di trovare qualche altro investimento sostitutivo con un profilo di rendimento/rischio migliore a lungo termine, conviene mantenere in portafoglio, incassare la rendita e guardare la quotazione il meno possibile. Nel caso di un pac, la debolezza è un’occasione per entrare a condizioni migliori (prezzi più bassi, rendimenti a scadenza e flussi cedolari più elevati); per cui se c’è l’obiettivo di mettere da subito denaro a lavoro per sviluppare una rendita sempre più sostanziosa, è opportuno continuare il pac; al limite si può ragionare sulla convenienza a preferire un pac di tipo value averaging o dollar cost averaging, ma in ogni caso questa metodologia aiuta a tenere sotto controllo il rischio proprio perché si acquista in diverse condizioni di mercato.

Diversamente, nei casi in cui: a) non serve una rendita, b) non serve ottenerla frequentemente, c) non c’è un capitale sufficiente a generare un’entrata soddisfacente, è possibile valutare una strategia di uscita dallo strumento in questione, nel 1° e nel 3° caso magari investendo le proprie risorse in modo più coerente con le proprie esigenze, nel 2° al limite valutando uno switch su un prodotto simile ma con pagamenti cedolari meno frequenti.

Terzo quesito: “l’ Etf in questione è correlato con il mercato azionario?”. La risposta è sì; anche se le correlazioni non sono un’entità fissa bensì qualcosa di dinamico, il grafico sottostante mostra come nel tempo tende ad esserci un grado di correlazione piuttosto elevato tra l’ Etf di Ishares e mercati come l’ MSCI World (in blu) e l’ S&P 500 (in turchese).

Ovviamente non mancano momenti in cui la correlazione vira in negativo, con l’ Etf in questione che si muove in maniera opposta ai mercati azionari.

Rispetto all’ Etf di Pimco a cedola mensile (STHE) recentemente analizzato, questo tende ad avere un grado di correlazione un po’ meno stabile con l’azionario, offrendo un plus in termini di decorrelazione di portafoglio.

Detto ciò occorre tener conto che possibili storni sui mercati azionari impatterebbero negativamente sullo strumento in questione.

Quarto quesito: “un rialzo dei tassi inciderebbe negativamente su questo strumento?”. Dal momento che l’ Etf in questione investe principalmente su bond a lunga scadenza e ha pertanto una duration consistente (pari a 8,54), un rialzo dei tassi comporterebbe ricadute piuttosto negative sul prezzo dei bond interni (e quindi del fondo). Da un altro punto di vista tassi più elevati darebbero la possibilità a chi è alla finestra (o entra gradualmente tramite pac) di acquistare a condizioni migliori (cedole più ricche).

Tuttavia nel considerare la dinamica dei tassi, non bisogna solo guardare a quelli Usa, ma anche a quelli europei, ricordiamo infatti che sull’andamento del prodotto in questione impattano diverse variabili, una di queste è il costo di hedging (per la copertura valutaria), il quale è legato al differenziale tra il tasso di riferimento Usa e quello europeo. Un allargamento di questo differenziale comporterebbe maggiori costi di struttura, appesantendo ancora di più il prodotto.

Occorre infatti tener conto che l’andamento non brillante di Ishares nei confronti ad esempio del prodotto gemello senza hedging valutario in questi anni è stato alimentato da fattori quali un Ter lievemente superiore, costi legati all’ hedging e dal rafforzamento del Dollaro nei confronti dell’ Euro. Per rendersi conto di ciò ecco un grafico di confronto tra i 2 strumenti.

Un’altra lettura interessante per confrontare i 2 strumenti può provenire dall’ analisi del ratio (rapporto) tra i 2 Etf; ciò potrebbe essere considerato (assieme ad altri fattori) ad esempio per cercare degli switch di natura tattica tra l’uno e l’altro strumento, a tal proposito si può notare la presenza di livelli significativi per il ratio, dai quali esso tende a rimbalzare; ad esempio il livello 0,95 ha fatto più volte da supporto, producendo un inversione del ratio (con conseguente rafforzamento di EMBE nei confronti di IEMB).
Quinto quesito: “come impatterebbe l’andamento del dollaro su tale Etf?”. Come è possibile notare dal grafico sottostante, che confronta EMBE con il Dollar Index, aggiungendo sotto il coefficiente di correlazione tra i 2 strumenti, il fondo è correlato negativamente con il dollaro: un rafforzamento del dollaro lo farebbe soffrire e viceversa. Questo perché i paesi emergenti sono molto indebitati in dollari americani (hard currency), per via della fragilità delle loro valute. Conseguentemente un rafforzamento del dollaro provocherebbe ad essi maggiori difficoltà nel pagare i loro debiti, dal momento che a parità di debito dovrebbero sborsare una maggiore quantità della loro valuta.
Al di là di ogni altro aspetto, l’andamento futuro del prodotto dipenderà dal contesto economico generale e dalle dinamiche macroeconomiche dei paesi emergenti oggetto d’ investimento, territori molto diversi fra loro a livello sociale, politico ed economico.

Analizzati diversi aspetti, arriviamo ora al dunque: quali sono le prospettive di tale prodotto? Conviene entrare ora o rimandare? Meglio un pic o pac?

Come è possibile vedere dal grafico sottostante, anche se non è aggiornatissimo, sicuramente questo non è il momento migliore per entrare se si cerca un’ottimizzazione del rapporto rendimento-rischio, dal momento che i rendimenti degli emerging bonds sono molto compressi.

Se a ciò aggiungiamo quotazioni azionarie dei paesi sviluppati (a cui abbiamo visto che tale prodotto è legato) che segnano massimi su massimi, è possibile affermare che non c’è un contesto propizio a livello di rapporto rendimento-rischio; non sto dicendo ovviamente che bisogna stare alla larga in ogni caso, ma se avendo già un certo capitale a disposizione si volesse optare per un pic,bisogna mettere in conto di allungare l’orizzonte temporale di riferimento.

Se si vuole invece fare un po’ di market timing su un prodotto del genere, si deve aspettare un contesto di impennata sui rendimenti dello stesso, che generalmente si manifesta in momenti di particolare instabilità sociale, politica ed economica in queste aree, in tali casi i prezzi scendono e va alle stelle il rapporto dividend yield. Si tratta di situazioni di eccesso che generalmente vengono riassorbite (qua la diversificazione aiuta).

Volendo è possibile adottare soluzioni di tipo ibrido per diminuire il rischio (entrare un po’ subito e un po’ quando si verificano tensioni sui prezzi).

Allo stesso tempo, le situazioni di calma sui mercati e di rendimenti compressi sono le più idonee per vendere il prodotto.

In condizioni estreme come la recente crisi Covid l’Etf ha avuto un drawdown del 29 % circa in 3 settimane, mentre tra massimi e minimi l’escursione più ampia è stata del -36 % circa (in tutti e 2 i casi non conteggiando le cedole incassate).

E’ uno strumento che può essere valutato in sostituzione dell’acquisto di un immobile da mettere a reddito, con orizzonte temporale molto lungo, cercando di ripagarselo a furia di incassare cedole, avendo così un introito mensile sicuro e potendolo rivendere con un click quando ritenuto opportuno.

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