L’ aumento del costo del denaro costituisce una zavorra per il classico reddito fisso già in circolo.
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Sono tutte domande lecite e non banali, che ovviamente non possono essere liquidate con immediatezza e superficialità.
Per quanto mi riguarda, in chiave strategica ritengo che, anche se le correlazioni sono più erratiche nel breve , nel lungo termine avere la componente obbligazionaria classica in portafoglio continuerà ad avere una sua logica e aiuterà.
Un discorso a parte può essere invece affrontato in relazione alla componente tattica di portafoglio, qua le armi con cui l’ investitore può tentare di difendere il portafoglio sono da ricercare prettamente all’ interno delle micro-asset classes della vasta componente obbligazionaria, qua tra le soluzioni più comuni possiamo citare i vari titoli governativi cinesi, bond collegati all’ inflazione, a tasso variabile, duration contenuta e via dicendo.
Tuttavia in questo articolo voglio porre enfasi su una tipologia di bond più alternativi, meno comuni, ma che in fasi come quelle attuali possono avere un suo perché, tanto come diversificazione di prodotto quanto come diversificazione valutaria, mi riferisco a quei bond legati in qualche modo alle materie prime, o perché espressi in valute correlate alle commodities, o in quanto di paesi/aree geografiche che legano la propria fortuna all’ esportazione di materie prime (energetiche perlopiù vista la fase).
Ecco quindi 3 esempi di soluzioni che potrebbero essere prese in considerazione in tale senso e in chiave tattica. L’ obiettivo è quello di migliorare la resilienza complessiva di portafoglio: migliorare le performances o quantomeno contenere le perdite.
Si tratta di un Etf e due fondi comuni d’ investimento.
1) ETF SU TITOLI DI STATO AUSTRALIANI (IN AUD)
ISIN LU0494592974, Ticker XCS2
2) FONDO COMUNE SU BOND NORVEGESI A BREVE TERMINE (IN NOK)
ISIN LU0078812822
3) FONDO COMUNE SU BOND DEI PAESI DEL GOLFO PERSICO (IN USD)
ISIN LU0962741061
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